Benché in un tono minore, il fronte della protesta ha raggiunto, finalmente, anche l'ateneo mediterraneo. Le iniziative, nel corso della settimana, non sono state poche. Le riserve, più che sul numero, riguardano, infatti, l'efficacia. Oltreché l'opacità degli atteggiamenti assunti dagli organi istituzionali verso le posizioni del governo della pompa magna - tributo ai meriti di guerra del ministro Autofregna - e le sue scelte a scapito della libera istruzione pubblica - e a favore, di converso, dei privati. Che si tratti delle banche o della gestione dei servizi (acqua, energia, scuola e università, consulenza, ricerca e così via), in definitiva, poco importa. Think globally. Non conosco un modo più serio di guardare ai problemi. Guardare ai problemi e spiegarne le origini. Spiegarne le origini e cercarne una giusta soluzione. Evidentemente, a patto di poterne garantire la ben posizione. Anzi ho idea che non esista, in atto, altra maniera di procedere. A meno che non ci si contenti di curare i sintomi, piuttosto che guarire dalla malattia. Forse bisognerebbe spiegarlo alla Brumetta (ex consigliere economico del primo e secondo governo Craxi), quando viene a sventolare i suoi piani di razionalizzazione degli sprechi dal seggiolino che la Vespa gli ha comperato al mercatino dell'usato (naturalmente, con i soldi pubblici), perché le sue nano-dimensioni non gli procurassero troppo disagio di fronte alle telecamere. D'altronde, non sarei meravigliato se domani si scoprisse che i tornelli - di cui si sono impreziosite le amministrazioni pubbliche - fossero forniti da una S.p.A., che include nel novero dei suoi azionisti principali gli amici di inciuci Tagljola e Dalai Lema. Forse, però, sto divangando. Provo, perciò, a rientrare in topic.
Mercoledì scorso (5 novembre 2008), dentro l'aula di ateneo dell'UniRc, si è svolta l'assemblea degli stati generali indetta da monsignorGiovannini, da qualche tempo divenuto rettore (seppure ancora in pochi se ne siano accorti). Impeccabile nella dizione e disinvolto nell'uso degli endecasillabi bisdruccioli, si è presentato con un'ora abbondante di ritardo sui tempi stabiliti (v. qui, in basso). Ma è di pubblico dominio che le very important people si lasciano attendere tutto il tempo necessario, e questo è un principio di natura che dovremmo tutti imparare a rispettare - invece che brontolare lamentele. E poi pare che il gran fico abbia avuto seri problemi col bidet. Certo è stato comico vedere il corpo docente costretto, dalle peculiari circostanze, a sedere con il culo per le scale: alcuni davano l'aria indispettita di quei grassi trichechi stravaccati che non tollerano l'idea di dover dividere, da pari a pari, il ghiaccio circostante con le foche. Il punto è che gli studenti hanno risposto alla chiamata in grande numero. Contro ogni previsione. Cioè a dispetto dell'eufemistica pigrizia dei loro rappresentanti, che ancora, il lunedì precedente, discutevano, per i corridoi della facoltà di ingegneria, dell'opportunità e dei modi di far circolare la notizia dell'adunanza del mercoledì fra gli elettori - peraltro disinformati di tutto quel che accade sotto la cupola dell'ateneo. I professori sono arrivati a passo di tip tap, le professoresse sui loro trampoli da guerra poco prima dell'ingresso in aula del nostro kaiser maximus. A conti fatti, gli uni e le altre se la sono presa, però, con troppo comodo, se è vero come è vero che, al loro arrivo, tutte le poltrone erano state già occupate. Poco meno di trecentocinquanta posti a sedere. Una cifra significativamente minore dei numeri svanverati da qualcuno. Il merito di una partecipazione così massiccia, di fatto, si deve al passaparola. Nonché all'idea brillante dei cosiddetti collettivi UniRc di appendere qualche volantino ai distributori del caffè - come spesso accade, le buone idee provengono dal basso. Detto questo, bando alle ciance: è tempo di critica.
Le parole di Giovannini? Rettoriche e fronzolanti. L'intervento del direttore amministrativo di ateneo Antonio Romeo? Numerologico. Tanto che, sciolta la seduta, sono corso alla prima tabaccheria di san Brunello per giocarmi la fortuna a un terno al lotto. Il panegirico del prorettore Vincenzo Tamburino (a favore della riconversione degli atenei in fondazioni di diritto privato)? Abbacinante - e non per via di tanto lustro. D'altro canto, ho trovato sinceri e appassionati i toni di Giuseppe Toscano (rappresentante sindacale del personale tecnico-amministrativo di ateneo): mi sarebbe piaciuto pubblicare il suo discorso sul blog, ma purtroppo non ho pensato di tirarmi dietro un registratore vocale. Viceversa, riporto la ricostruzione a posteriori delle argomentazioni del prof. Tommaso Isernia (ordinario di Campi elettromagnetici presso la facoltà di ingegneria dell'UniRc):
Mercoledì scorso (5 novembre 2008), dentro l'aula di ateneo dell'UniRc, si è svolta l'assemblea degli stati generali indetta da monsignorGiovannini, da qualche tempo divenuto rettore (seppure ancora in pochi se ne siano accorti). Impeccabile nella dizione e disinvolto nell'uso degli endecasillabi bisdruccioli, si è presentato con un'ora abbondante di ritardo sui tempi stabiliti (v. qui, in basso). Ma è di pubblico dominio che le very important people si lasciano attendere tutto il tempo necessario, e questo è un principio di natura che dovremmo tutti imparare a rispettare - invece che brontolare lamentele. E poi pare che il gran fico abbia avuto seri problemi col bidet. Certo è stato comico vedere il corpo docente costretto, dalle peculiari circostanze, a sedere con il culo per le scale: alcuni davano l'aria indispettita di quei grassi trichechi stravaccati che non tollerano l'idea di dover dividere, da pari a pari, il ghiaccio circostante con le foche. Il punto è che gli studenti hanno risposto alla chiamata in grande numero. Contro ogni previsione. Cioè a dispetto dell'eufemistica pigrizia dei loro rappresentanti, che ancora, il lunedì precedente, discutevano, per i corridoi della facoltà di ingegneria, dell'opportunità e dei modi di far circolare la notizia dell'adunanza del mercoledì fra gli elettori - peraltro disinformati di tutto quel che accade sotto la cupola dell'ateneo. I professori sono arrivati a passo di tip tap, le professoresse sui loro trampoli da guerra poco prima dell'ingresso in aula del nostro kaiser maximus. A conti fatti, gli uni e le altre se la sono presa, però, con troppo comodo, se è vero come è vero che, al loro arrivo, tutte le poltrone erano state già occupate. Poco meno di trecentocinquanta posti a sedere. Una cifra significativamente minore dei numeri svanverati da qualcuno. Il merito di una partecipazione così massiccia, di fatto, si deve al passaparola. Nonché all'idea brillante dei cosiddetti collettivi UniRc di appendere qualche volantino ai distributori del caffè - come spesso accade, le buone idee provengono dal basso. Detto questo, bando alle ciance: è tempo di critica.
Le parole di Giovannini? Rettoriche e fronzolanti. L'intervento del direttore amministrativo di ateneo Antonio Romeo? Numerologico. Tanto che, sciolta la seduta, sono corso alla prima tabaccheria di san Brunello per giocarmi la fortuna a un terno al lotto. Il panegirico del prorettore Vincenzo Tamburino (a favore della riconversione degli atenei in fondazioni di diritto privato)? Abbacinante - e non per via di tanto lustro. D'altro canto, ho trovato sinceri e appassionati i toni di Giuseppe Toscano (rappresentante sindacale del personale tecnico-amministrativo di ateneo): mi sarebbe piaciuto pubblicare il suo discorso sul blog, ma purtroppo non ho pensato di tirarmi dietro un registratore vocale. Viceversa, riporto la ricostruzione a posteriori delle argomentazioni del prof. Tommaso Isernia (ordinario di Campi elettromagnetici presso la facoltà di ingegneria dell'UniRc):
Presentazione. Come Presidente del Corso di Laurea in Ingegneria dell'informazione confermo, a valle di quanto già detto dal Rettore, che la combinazione dei requisiti necessari richiesti dall'ordinamento 270 (ndr: il decreto 22 ottobre 2004, n. 270 del ministero dell'università e della ricerca) e la restrizione di risorse (ndr: conseguente alla legge 6 agosto 2008, n. 133) creeranno considerevoli problemi ad alcuni CdL. Come tantissimi nell'Università, non sono certo un barone né un figlio di baroni, ma di insegnanti elementari, che hanno potuto accedere all'Università solo grazie al '68. In un certo senso, infatti, il mio intervento è un obbligo di riconoscenza verso quanti, con l'impegno sociale e l'esempio in prima persona, si hanno testimoniato l'importanza di una libera formazione superiore e la possibilità di accedervi senza vincoli di provenienza.
Aspetti nazionali. Non c'è dubbio che, per i motivi già riportati da chi mi ha preceduto, bisogna fare la propria parte, assieme agli altri Atenei, per combattere i tagli previsti, la legge sul turn-over e la ventilata trasformazione delle Università pubbliche in fondazioni di diritto privato. Quest'ultimo aspetto della norma, in particolare, prevede un tipo di fondazione diversa da quella discussa in Ateneo anni orsono, e non è condivisibile, per come è concepita: andrebbe a rimpiazzare l'Università pubblica tout court, anziché occuparsi di aspetti parziali.
Aspetti locali. Il nostro impegno e la nostra protesta verso il governo nazionale non deve farci dimenticare gli aspetti e le eventuali responsabilità locali, sulle quali potremmo, peraltro, avere una capacità di incidenza maggiore. Da questo punto di vista, a valle degli incontri sulla programmazione strategica in Ateneo, è senz'altro il caso di dare seguito a forme di razionalizzazione e di valorizzazione del merito. C'è, infatti, un aspetto assai rilevante, che fin qui mi sembra sia stato ampiamente trascurato: ammesso, infatti, che l'Università sia importante per il territorio - e lo è senz'altro nel nostro caso -, anche gli Enti locali devono fare la loro parte. La concessione di contributi consolidati agli Atenei da parte di questi ultimi potrebbe rendere possibile l'assunzione di Ricercatori senza sforare i limiti di legge, e contrastando così il depauperamento di risorse e di intelligenze che si profila all'orizzonte. Seppure questi fondi fossero per un tempo limitato, ci sarebbe comunque la possibilità di assumere ricercatori a tempo determinato, che contribuirebbero al soddisfacimento dei requisiti necessari secondo il nuovo ordinamento 270. Per cui è tempo che i contributi degli enti locali, da occasionali e sparsi (erogati, talvolta, sull'onda di esigenze temporanee di spesa), diventino consolidati, cioè elemento di stabile rafforzamento dell'istruzione superiore e della ricerca nell'ambito del territorio locale.
«Un intervento di ferma critica propositiva», ho commentato. «Netto, incisivo, senza orpelli.» Giudizio, peraltro, ampiamente condiviso dalla platea. Notevole, del pari, l'invettiva dell'arch. Rosario Giuffrè. Un po' sconsolante, invece, la lettura del documento abortito dal consiglio degli studenti per bocca di un giovanissimo rappresentante, scapicollato - suo malgrado? - sul palco degli oratori a salmodiare una cantilena deprimente, che ha suscitato l'incontinenza di metà dell'uditorio - l'altra metà si era assopita dopo il primo capoverso. La più grande rivelazione della giornata, ad ogni modo, è stata la prof.ssa Luisa Fattorusso: l'ho ascoltata dipanare i suoi ragionamenti per oltre due minuti, senza mai perdere il filo! Una roba da guinness dei primati. Ho provato a contattare gli altri relatori, sperando mi forniscano uno stralcio dei loro interventi, così da poterli pubblicare. Aggiornerò, di conseguenza, il post, nel caso dovessero rispondere positivamente alla richiesta. Nel frattempo, sarebbe utile raccogliere le impressioni degli altri presenti.
Aggiornamento di venerdì 14 novembre 2008
Ho appena ricevuto per e-mail il testo autografo del discorso pronunciato, in occasione dell'assemblea, da Pasquale Speranza (membro del consiglio di amministrazione dell'ateneo reggino). Lo riporto di seguito nella sua forma integrale.
Ho appena ricevuto per e-mail il testo autografo del discorso pronunciato, in occasione dell'assemblea, da Pasquale Speranza (membro del consiglio di amministrazione dell'ateneo reggino). Lo riporto di seguito nella sua forma integrale.
Cari studenti, colleghi e corpo docente,
siamo qui per discutere non di una nuova riforma per l'Università ma per motivare la nostra ferma e convinta opposizione ad una legge finanziaria che mira a recuperare risorse colpendo un settore, quello della conoscenza, che dovrebbe essere l'ambito strategico dove impegnare nuove risorse in una situazione di crisi mondiale. Sarebbe stato utile non solo non tagliare le risorse attuali ma impegnarne di nuove come ha fatto, intelligentemente, il Presidente francese.
Il problema è capire che, per il nostro governo, l'Università Pubblica non è una priorità. Il piano dei tagli per un miliardo e mezzo di euro viene ammantato con le dicerie che si vogliono colpire le baronie universitarie.
Quello che si realizza, nella pratica, è l’impossibilità concreta che si possa realizzare un cambiamento generazionale dentro il Sistema Universitario e soprattutto che si impedisca l’inserimento nell’Università di schiere di giovani dottorandi, ricercatori precari, assegnasti, borsisti, collaboratori atipici e personale precario.
L’altro aspetto, preoccupante, viene dal fatto che, mancando il turn-over, si dovranno chiudere corsi di laurea, facoltà o intere Università. Il Politecnico di Milano ha dichiarato che, qualora dovesse permanere l’attuale situazione, rischia la chiusura. Penso che sia importante, oggi, avere un’idea forte di quello che significa poter contare su un’Università Pubblica. Credo, sinceramente, che l’Università, in Italia, abbia rappresentato un’istanza di civilizzazione e grande è stato il merito nell’aver dato a intere generazioni di figli di lavoratori la possibilità di formarsi come liberi professionisti o cittadini consapevoli.
Oggi, con una politica classista, si vorrebbero ricacciare indietro le nuove generazioni. Immagino che sia importante che le nuove generazioni capiscano che il miraggio delle Fondazioni Universitarie porterebbe alla negazione del diritto costitutivo all’alta formazione.
La cultura liberistica sostiene che bisogna distruggere l’Università Pubblica dando spazio al libero mercato. Non dicono che uno studente americano paga di solo tasse circa 50.000 dollari all’anno e che pochi si possono iscrivere all’Università. Questi ben pensanti ritengono che si debba avere un sistema universitario che non sia un patrimonio di diritti ma solo l’espressione di liberalità di qualche filantropo di turno.
Nella mia qualità di componente il C.d.A. d’ateneo, ritengo che gli studenti ed il personale universitario abbiano capito che siamo dentro un attacco totale alla stessa possibilità d’esistenza della nostra Università.
Non mi sento di sostenere quelle personalità d’ateneo che sottovalutano il pericolo che viene dalla trasformazione dell’università Pubblica in Fondazione. E non condivido neanche il loro superficialismo quando sostengono, pubblicamente, che la Fondazione si connoterebbe sono per il fatto che il Magnifico Rettore trasformerebbe il suo nome in Presidente. Ritengo che questi pressappochismi sono degli atteggiamenti che indeboliscono la possibilità che l’Università abbia un futuro dignitoso.
Infine, sono convinto, che se manteniamo un’idea forte di Università come bene comune collettivo, e ci crediamo veramente possiamo farcela.
Il nostro motto dovrebbe essere: “No, they can’t. Yes, we can.”