giovedì 13 novembre 2008

Il risultato dell'incontenibile stimolo


A pensarci bene, il decreto Gelmini un pregio l'ha avuto: quello di portare sotto gli occhi di tutti ed evidenziare chiaramente che l'Università e la politica governativa sono due separati in casa. Costretti a condividere la stessa nazione, a subire uno la presenza dell'altro, a far buon viso a cattivo gioco e a saturare l'atmosfera di ipocrisia e falsità alla presenza del popolo (non so se aggiungere anche "sovrano", forse è stato cancellato per decreto?). Per non mancare di rispetto alle tradizioni del nostro Paese, anche l'ultimo governo si è dichiarato pronto ad attuare una seria e profonda riforma del sistema universitario. In che modo? Forse avviando una discussione aperta a tutte le parti? Sentendo studenti, ricercatori, docenti, professori, rettori e quant'altro? Per poi passare la parola alle Camere? Ma no! Troppo tempo! Il governo è particolarmente sensibile al problema dell'Università, sente un incontenibile stimolo che lo porta ad attuare le nuove strategie per lo sviluppo e la ricerca, e comprende che i tempi stringono. Qui ci troviamo in un caso di emergenza, anzi, ci troviamo in un caso "straordinario di necessità e d'urgenza", quindi la Costituzione permette di risolvere questa straordinaria urgenza con l'emanazione di un decreto legge, senza infastidire nessuno.

Alla fine l'incontenibile stimolo è stato soddisfatto. Ma se andiamo a leggere l'articolo 1, si intuisce che forse il caso "straordinario di necessità e d'urgenza" non era lo sviluppo, tantomeno la ricerca o l'Università. La necessità era quella di contenere la spesa pubblica (cosa che, mi pare, non abbia molto a che vedere con la ricerca).

"L'Università è malata!", frase che all'inizio suonava come una condanna definitiva, è ormai divenuta tanto di moda che viene usata dai conduttori televisivi per mandare la pubblicità. Sembra quasi che l'istruzione sia l'unico portatore malato affetto dalla sindrome di Tremonti. "L'Università malata deve essere curata!", evoluzione della prima frase, risuonando del grido disperato di colui che ha inseguito innumerevoli ma vani tentativi, lascia intendere che il risultato dell'incontenibile stimolo sia la cura definitiva. Ora, di norma, quando un paziente gravemente malato non risponde alle cure, vengono interessati diversi medici per cercare insieme una nuova terapia. In questo caso, invece, il Governo incontenibile non discute con le parti dell'eventuale nuova terapia da far seguire all'Università, ma, in piena autonomia, forte della legittimazione elettorale, decide di ridurre gradualmente l'alimentazione al paziente malato, prolungandone l'agonia.

Quindi la soluzione al problema crea un nuovo problema: l'Università morirà. Ma no, perché, incredibilmente, il risultato dell'incontenibile stimolo che ha creato il problema, allo stesso tempo lo risolve! Ma certo, perché se da una parte il governo incontenibile decide di sospendere l'accanimento terapeutico, dall'altra consente alle Università pubbliche di convertirsi in fondazioni private. Ora, mentre l'ente pubblico è soggetto alle scelte democratiche prese dalla collettività in cui esiste, il privato è sottoposto alle deliberazioni interne dei suoi organi. Privatizzare un ente significa sottrarne il controllo alla comunità per affidarlo ai soggetti finanziatori privati.

Alla fine, quindi, se racchiudiamo il tutto in una bella scatola, scopriamo che si otterrà (forse) il contenimento della spesa pubblica pagando il prezzo di rendere privato ciò che dovrebbe essere un bene comune: il SAPERE.

domenica 9 novembre 2008

In difesa dell'istruzione pubblica


Piero Calamandrei è stato un politico italiano della prima metà del 1900, oltreché membro della Costituente (click). L'11 febbraio 1950, tenne un discorso in difesa della scuola pubblica. Generalizzando, in difesa della pubblica istruzione. In realtà, Calamandrei parlava di una scuola nazionale. Evidentemente, il senso di appartenenza comune alla nazione, all’epoca dei fatti, era ancora vivo nel cuore dell'Italia. Dopo gli anni del regime fascista, benché senza una lira nelle tasche - così dice mio nonno -, la gente era felice. Meno coccolata dai comfort, senza dubbio. Però felice. Poi qualcosa deve essere andato storto. Lentamente le coscienze si sono riaddormentate. Ci hanno convinti che vivere bene significhi sognare il suv, sbancare la lotteria, accanirsi nel consumo. Ci hanno convinti che mutualismo sia sinonimo di assistenzialismo. Quando, invece, il mutualismo è una forma di solidarietà sociale, che persino le teorie economiche più promettenti valutano in senso positivo, nonostante lo strapotere dei capitalisti (da cui dipendono, infatti, gli ordini e i disordini mondiali). Ho in mente, per esempio, i princìpi della cooperazione e l'idea di fondo dietro le dinamiche dominanti di John Nash. Il cambiamento? È ancora possibile. Si comincia dal volerlo. Basta ragionarla un po' come fra i moschettieri di Dumas.
Piero Calamandrei - Roma, 11 febbraio 1950

Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.

Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime... Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi, ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico".

Si direbbe scritto ieri. Invece sono quasi sessant'anni. Se c'è nulla di cui meravigliarsi? Temo di no. Oltreché per la relatività, Albert Einstein è passato alla storia per il suo pensiero critico. «Due cose sono infinite,» gli piaceva dire «l'universo e la stupidità dell'uomo. Ma riguardo all'universo nutro ancora qualche dubbio». Di questi tempi, trovo impossibile non essere d'accordo.