A pensarci bene, il decreto Gelmini un pregio l'ha avuto: quello di portare sotto gli occhi di tutti ed evidenziare chiaramente che l'Università e la politica governativa sono due separati in casa. Costretti a condividere la stessa nazione, a subire uno la presenza dell'altro, a far buon viso a cattivo gioco e a saturare l'atmosfera di ipocrisia e falsità alla presenza del popolo (non so se aggiungere anche "sovrano", forse è stato cancellato per decreto?). Per non mancare di rispetto alle tradizioni del nostro Paese, anche l'ultimo governo si è dichiarato pronto ad attuare una seria e profonda riforma del sistema universitario. In che modo? Forse avviando una discussione aperta a tutte le parti? Sentendo studenti, ricercatori, docenti, professori, rettori e quant'altro? Per poi passare la parola alle Camere? Ma no! Troppo tempo! Il governo è particolarmente sensibile al problema dell'Università, sente un incontenibile stimolo che lo porta ad attuare le nuove strategie per lo sviluppo e la ricerca, e comprende che i tempi stringono. Qui ci troviamo in un caso di emergenza, anzi, ci troviamo in un caso "straordinario di necessità e d'urgenza", quindi la Costituzione permette di risolvere questa straordinaria urgenza con l'emanazione di un decreto legge, senza infastidire nessuno.
Alla fine l'incontenibile stimolo è stato soddisfatto. Ma se andiamo a leggere l'articolo 1, si intuisce che forse il caso "straordinario di necessità e d'urgenza" non era lo sviluppo, tantomeno la ricerca o l'Università. La necessità era quella di contenere la spesa pubblica (cosa che, mi pare, non abbia molto a che vedere con la ricerca).
"L'Università è malata!", frase che all'inizio suonava come una condanna definitiva, è ormai divenuta tanto di moda che viene usata dai conduttori televisivi per mandare la pubblicità. Sembra quasi che l'istruzione sia l'unico portatore malato affetto dalla sindrome di Tremonti. "L'Università malata deve essere curata!", evoluzione della prima frase, risuonando del grido disperato di colui che ha inseguito innumerevoli ma vani tentativi, lascia intendere che il risultato dell'incontenibile stimolo sia la cura definitiva. Ora, di norma, quando un paziente gravemente malato non risponde alle cure, vengono interessati diversi medici per cercare insieme una nuova terapia. In questo caso, invece, il Governo incontenibile non discute con le parti dell'eventuale nuova terapia da far seguire all'Università, ma, in piena autonomia, forte della legittimazione elettorale, decide di ridurre gradualmente l'alimentazione al paziente malato, prolungandone l'agonia.
Quindi la soluzione al problema crea un nuovo problema: l'Università morirà. Ma no, perché, incredibilmente, il risultato dell'incontenibile stimolo che ha creato il problema, allo stesso tempo lo risolve! Ma certo, perché se da una parte il governo incontenibile decide di sospendere l'accanimento terapeutico, dall'altra consente alle Università pubbliche di convertirsi in fondazioni private. Ora, mentre l'ente pubblico è soggetto alle scelte democratiche prese dalla collettività in cui esiste, il privato è sottoposto alle deliberazioni interne dei suoi organi. Privatizzare un ente significa sottrarne il controllo alla comunità per affidarlo ai soggetti finanziatori privati.
Alla fine, quindi, se racchiudiamo il tutto in una bella scatola, scopriamo che si otterrà (forse) il contenimento della spesa pubblica pagando il prezzo di rendere privato ciò che dovrebbe essere un bene comune: il SAPERE.
Alla fine l'incontenibile stimolo è stato soddisfatto. Ma se andiamo a leggere l'articolo 1, si intuisce che forse il caso "straordinario di necessità e d'urgenza" non era lo sviluppo, tantomeno la ricerca o l'Università. La necessità era quella di contenere la spesa pubblica (cosa che, mi pare, non abbia molto a che vedere con la ricerca).
"L'Università è malata!", frase che all'inizio suonava come una condanna definitiva, è ormai divenuta tanto di moda che viene usata dai conduttori televisivi per mandare la pubblicità. Sembra quasi che l'istruzione sia l'unico portatore malato affetto dalla sindrome di Tremonti. "L'Università malata deve essere curata!", evoluzione della prima frase, risuonando del grido disperato di colui che ha inseguito innumerevoli ma vani tentativi, lascia intendere che il risultato dell'incontenibile stimolo sia la cura definitiva. Ora, di norma, quando un paziente gravemente malato non risponde alle cure, vengono interessati diversi medici per cercare insieme una nuova terapia. In questo caso, invece, il Governo incontenibile non discute con le parti dell'eventuale nuova terapia da far seguire all'Università, ma, in piena autonomia, forte della legittimazione elettorale, decide di ridurre gradualmente l'alimentazione al paziente malato, prolungandone l'agonia.
Quindi la soluzione al problema crea un nuovo problema: l'Università morirà. Ma no, perché, incredibilmente, il risultato dell'incontenibile stimolo che ha creato il problema, allo stesso tempo lo risolve! Ma certo, perché se da una parte il governo incontenibile decide di sospendere l'accanimento terapeutico, dall'altra consente alle Università pubbliche di convertirsi in fondazioni private. Ora, mentre l'ente pubblico è soggetto alle scelte democratiche prese dalla collettività in cui esiste, il privato è sottoposto alle deliberazioni interne dei suoi organi. Privatizzare un ente significa sottrarne il controllo alla comunità per affidarlo ai soggetti finanziatori privati.
Alla fine, quindi, se racchiudiamo il tutto in una bella scatola, scopriamo che si otterrà (forse) il contenimento della spesa pubblica pagando il prezzo di rendere privato ciò che dovrebbe essere un bene comune: il SAPERE.
Nessun commento:
Posta un commento