lunedì 24 novembre 2008

Tips&tricks: il grassetto e le formule LaTeX



Qualcuno mi ha chiesto se è possibile (e in che modo) applicare, in LaTeX, il grassetto alle lettere greche (e, più in generale, ai simboli matematici). La domanda nasce dalla constatazione di fatto che, almeno in linea di principio, non è dato utilizzare, a questo scopo, i comuni marcatori \mathbf e \boldmath del plain TeX. A meno di non adottare degli stratagemmi fantasiosi, che combinano, ad esempio, testo e formule per mezzo del tag \mbox. Tanto più che questa soluzione viene a creare nuovi problemi cogli indici e coi pedici, per cui il guadagno effettivo si potrebbe dire, giustamente, discutibile.
La via più semplice (ed elegante) comporta, invece, l'uso del pacchetto bm.sty (in cui è definito l'extra-tag \bm), incluso nel preambolo del documento (secondo consuetudine) attraverso la direttiva \usepackage{bm}. Provare per credere, l'espressione LaTeX $\bm{\alpha}$ dovrebbe produrre un'alfa in grassetto. Naturalmente, è necessario che il pacchetto bm.sty sia presente nella distribuzione MikTeX installata sul vostro pc. Diversamente sarà dura che funzioni.

martedì 18 novembre 2008

Ogni tanto..



..bisogna pur ridere!!

Mucca si, mucca no, mucca forse...

LEZIONE DI POLITICA ECONOMICA
TITOLO : Hai due mucche

SOCIALISMO:Hai 2 mucche.
Il tuo vicino ti aiuta ad occupartene e tu dividi il latte con lui.

COMUNISMO:Hai 2 mucche.
Il governo te le prende (i TUOI "compagni ") e ti fornisce (a sua
discrezione) il necessario per vivere.

FASCISMO:Hai 2 mucche
Il governo te le prende e ti vende il latte.

NAZISMO:Hai 2 mucche.
Il governo prende la vacca bianca ed uccide quella nera.

DITTATURA:Hai 2 mucche.
La polizia te le confisca e ti fucila.

FEUDALESIMO:Hai 2 mucche.
Il feudatario prende metà del latte e si tromba la tua morosa.

DEMOCRAZIA:Hai 2 mucche.
Si vota per decidere a chi spetta il latte.

DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA:Hai 2 mucche.
Si vota per chi eleggerà la persona che deciderà a chi spetta il latte..

ANARCHIA:Hai 2 mucche.
Lasci che si organizzino in autogestione.

CAPITALISMO:Hai 2 mucche
Ne vendi una per comprare un toro ed avere dei vitelli con cui iniziare un allevamento.

CAPITALISMO SELVAGGIO:Hai 2 mucche.
Fai macellare la prima ed obblighi la seconda a produrre tanto latte come 4 mucche.
Alla fine licenzi l'operaio che se ne occupava accusandolo di aver lasciato morire la vacca di sfinimento.

BERLUSCONISMO:Hai 2 mucche.
Ne vendi 3 alla tua Società quotata in borsa, utilizzando lettere di credito aperte da tuo fratello sulla tua banca. Poi fai uno scambio delle lettere di credito, con una partecipazione in una Società soggetta ad offerta pubblica e nell'operazione guadagni 4 mucche beneficiando anche di un abbattimento fiscale per il possesso di 5 mucche. I diritti sulla produzione del latte di 6 mucche vengono trasferiti da un intermediario panamense sul conto di una Società con sede alle Isole Cayman, posseduta clandestinamente da un azionista che rivende alla tua Società i diritti sulla produzione del latte di 7 mucche.
Nei libri contabili di questa Società figurano 8 ruminanti con l'opzione d'acquisto per un ulteriore animale. Nel frattempo hai abbattuto le 2 mucche perchè sporcano e puzzano. Quando stanno per beccarti, diventi Presidente del Consiglio.

PRODISMO:Hai 2 mucche.
Tu le mantieni, il governo si prende il latte e ti mette una tassa su:
Metri cubi della stalla
Inclinazione del tetto della stalla
ICI
Lunghezza della mangiatoia (da collaudare ogni semestre)
Bollino blu sulla stalla (con cadenza mensile)
Revisione bimestrale delle mucche
Registrazione delle mucche con atto notarile
Registrazione delle mucche a pubblico registro
Obbligo di un capo mucca responsabile per la 626
Obbligo di un capo mucca responsabile per i vigili del fuoco
Bollo da calcolare in base al peso della mucca (5,258 euro al Kg se la lunghezza del pelo rispetta l'euro 5)
IVA sull'acquisto di acqua e fieno per la mucca
Tassa sulla compravendita della mucca + IVA
Tassa sulla donazione della mucca + IVA
Canone RAI (obbligatorio) + IVA
Canone Telecom (obbligatorio) + IVA
Tassa sulla morte della mucca
Tessera sindacale per il sindacato delle mucche (14,37 euro al mese + tredicesima!!)
Fondo pensionistico da versare all'INPS, per il sindacalista delle mucche IVA sul latte !!!
IVA sulla mucca
Marca da bollo annuale di 24,25 euro ** per ogni zampa della mucca *A TE rimane lo sterco !!
Nel frattempo è in approvazione un Disegno Di Legge sulla tassazione dei rifiuti organici animali.

Report ed inchiesta sul pescespada



Per chi non l'avesse vista, ecco l'ultima puntata di Report (Raitre) che analizza il problema della pesca dei pescespada praticata illegalmente con le spadare, reti a maglie larghe lunghe decine di chilometri che ovviamente, oltre a catturare i pescispada, intrappolano e uccidono migliaia di esemplari tra delfini, cetacei vari, tartarughe marine, ecc..

Link al video

Ps. Evito di inserire il video direttamente sul blog per non rallentarlo eccessivamente.

lunedì 17 novembre 2008

Mallone for President!


Altroché Barack Obama...

Ce l'abbiamo solo noi il vero, unico e insostituibile presidente.
Volete sapere chi è? Ma ovviamente Antonello Mallone!

Questa premessa è solo per lo straripante desiderio di riassumere, in poche parole, la sua intervista rilasciata a TeleReggio per promuovere l'ICT Day, che si terrà il 19 p.v.
Ha esordito dicendo che, grazie a questa giornata, noi altri ingegneri (io quasi ingegnere) avremo modo di realizzarci nel mondo del lavoro, che già molti studenti usciti dall'università Mediterranea lavorano per queste grandi aziende, ecc... Peccato faccia finta di ignorare che le aziende di cui parla non si prefiggono lo scopo caritevole di offrire lavoro ai neolaureati (se ingegneri o cos'altro, poco importa), ma di sfruttare gli ingenui smaliziati che, armati di tanto entusiasmo giovanile, si avventurano nell'impresa impossibile di costruirsi un futuro. Il fatto più scandaloso, tuttavia, non è quello appena citato, ma la modesta presunzione che il Mallone ostanta affermando che i professori sono contenti del suo operato e che lo appoggiano in tutto e per tutto. Allora le cose sono due: o lui è uscito fuori di senno, perché la gloria gli ha obnubilato del tutto i pensieri, oppure i professori non sanno con chi hanno a che trattare - e quindi c'è qualcosa che non va. A mio avviso ci sono problemi ben più importanti da affrontare in questo momento dentro e fuori dall'università, anziché apparire in televisione solo per l'immagine. Tutto questo l'ho scritto perché serva a capire chi è la gente che dovrebbe rappresentare noi studenti...

Grazie Antonello Mallone!!!

P.S.: prossimamente vedremo la sua intervista sulle reti Mediaset e fra qualche tempo siederà alla destra di nostro signore Silvio Berlusconi. La campagna elettorale è ufficialmente aperta, quindi per un futuro migliore Vota Antonello Mallone - ovviamente non prendetemi sul serio.

domenica 16 novembre 2008

Senti chi parla


Il Giornale è nato nel 1974 da un'idea editoriale di Indro Montanelli. Giornalista discusso, giornalista discutibile, giornalista onesto. Oggi, nell'anno duemilaotto dell'era volgare, il quotidiano milanese è passato di mano a Mario Giordano. Che, nei giorni scorsi, ha partorito la brillante idea di scrivere una lettera aperta indirizzata - si pretende - all'Italia che ci crede. Per gradire, ne riporto, qui di seguito, il testo originale per intero.

Io ci credo. Ci credo perché sono qui anche oggi per cercare di fare un "Giornale" migliore. Io ci credo perché ogni mattina mi alzo con l'impegno di mettercela tutta e alla sera mi addormento sereno solo se non mi sono risparmiato. Io ci credo perché credo nell'etica del lavoro, nella positività della fatica, nei risultati che nascono non dal caso ma dalla volontà. Io ci credo perché cerco di non arrendermi anche quando tutto sembra girare storto. Persino quando il Torino è ultimo in classifica.

Io credo in questo Paese. Oltre tutto, nonostante tutto. Io credo che negli angoli periferici, nelle pieghe sperdute, dentro le stanze dimenticate si nascondano risorse infinite. Io credo che gli italiani siano migliori di quel che credono, e anche di quel che vogliono far credere. Io ci credo perché l'Italia non è solo quella che siamo abituati a vedere in Tv. Io ci credo perché l'altro giorno un lettore mi ha scritto che sua figlia ha perso la borsa al mercatino dell'antiquariato e gliel'hanno riconsegnata senza sottrarre nemmeno un euro e senza volere una ricompensa. Io ci credo perché i maleducati non sono più numerosi. Sono solo più rumorosi.

Io ci credo perché ti sto scrivendo questa lettera. E credo che se tu andrai in edicola a comprare il “Giornale” troverai molti motivi per essere d'accordo con noi. Magari per arrabbiarti, magari per indignarti, forse per dissentire. Ma sicuramente per crederci un po' di più.

A te, che fai parte della community de ilGiornale.it, chiedo collaborazione per aiutarci a raccogliere tutti i messaggi di chi come me crede nel nostro Paese e a diffondere segnali di fiducia, segnali di speranza.

Manda la tua testimonianza su www.italiachecicrede.it e dicci perché secondo te si può ancora credere. Fallo sapere anche ai tuoi amici perché vogliamo riempire l’Italia di segnali positivi e dimostrare che non c'è spazio solo per le contestazioni e i no. Chi crede davvero nell'Italia avrà così la possibilità di far sentire la sua voce.

Io ci credo. E tu?

Da una lettura anche superficiale, viene spontaneo domandarsi se Giordano non sia stato investito ufficialmente da re Silvio I d'Arcore dell'incarico di svolgere un censimento peer to peer dei consensi (in vertiginoso calo) del governo. Vuoi vedere che oramai neppure sua maestà ci crede più alle balle strepitose a sproposito della sua imbarazzante popolarità, replicate senza posa sui giornali e le tv da una nutrita scorta di buffoni, baldracche, nani, cortigiane e fenomeni da baraccone persino più bizzarri di Belpietro? Insomma, sia come sia, ho sentito il dovere civico di rispondergli. In quanto italiano - evidentemente maleducato e rumoroso - che, al contrario di zio paperino, ci crede per davvero. Crede, cioè, nella possibilità - ancora attuale - di salvare un Paese in rovina e di restituire lo Stato in mano al suo vero proprietario: il popolo. Quindi di mandare a casa, dopo un'iperbole di mille anni, il parlamento marcilento dei cialtroni - di destra e di sinistra, senza significative distinzioni. Nonché di vedere la Berlusca e la sua cricca di mafiosi, di briganti e di massoni finalmente processati - e fuori, comunque, dalle stanze dei bottoni. Ma non perché a noi altri italiani - maleducati e rumorosi - ci stiano antipatici, o perché siamo comunisti. Semmai perché la giustizia torni ad avere il suo naturale corso, dopo troppi lustri di repressione della legalità perpetrata da quest'orgia di assassini. Ed anche perché in assenza di una giustizia certa la democrazia, di certo, non possiede uno spazio di manovra. Il modo pare chiaro: attraverso una presa di coscienza generale, che presuppone, per esempio, la chiusura di una fabbrica di menzogne e di veleni come Il Giornale dell'arcivescovo Giordano.
Caro direttore,

la verità sincera è che ci credo anch'io. A modo mio, però, se non le spiace. Ed è appena un po' diverso che crederci nei termini in cui ci crede lei. Ammesso e non concesso che il suo credo sia sincero. Ed io, sinceramente, non lo credo. E come potrei crederlo, d'altronde? Guardi, mi tento nella logica. Benché non dia esattamente l'impressione di sapere cosa sia (quantomeno a giudicare dai suoi ragionamenti estranei alla coerenza), provi un po' a seguirmi - se le pare.

Il giornale di cui ella è direttore non è più da molto tempo Il Giornale di Indro Montanelli. Anzi non lo ricorda neppure vagamente. Può darsi sia perché le manca le physique du rôle. Può darsi sia per via della connatura inclinazione al servilismo tipico di alcune scuole di pensiero. Con precisione, in realtà, non saprei dirlo: la verità non si conosce. D'altronde, il suo giornale non è mica suo davvero: è solo un'altra proprietà della famiglia Berlusconi. A conti fatti, perciò, lei non è né più né meno che un dipendente dell'attuale primo ministro. Oh, pardon! Di suo fratello. Seppure non faccia alcuna sostanziale differenza. Tanto che qualche malpensante vi ravvisa un insulso, impercettibile, microscopico conflitto di interessi. Che si direbbe pregiudicare, tuttavia, per quanto minimo, ogni possibilità di raccontare un'onesta verità, piuttosto che stuprarla, distorcerla, filtrarla, edulcorandola con un falso ottimismo e ricamandole intorno come trine sermoni ipocriti informati a una moralità bigotta, che non l'ha ritenuta, d'altro canto, nel lungo corso della sua folgorante carriera giornalistica, dalla direzione di Lucignolo e di un telegiornale pornografico - abbandonato fra le lacrime - sulle reti Mediaset del suo padrone. Oh, le chiedo scusa ancora! Intendevo dire, del primogenito del suo padrone.

Pertanto, quando mi chiede se ci credo, la mia risposta è che ci credo, sì. Lo capisce? Credo con ferma speranza che la gente becera della sua schiatta, un giorno o l'altro, finalmente, si leverà di torno dai coglioni.

Sincerely,
Salvatore Tringàli

P.S.: Marx io non l'ho mai letto, e ho idea lo troverei molto noioso. Siccome in foto ha l'aria di una scimmia intelligente, confido comprenderà che cosa intendo.

giovedì 13 novembre 2008

Il risultato dell'incontenibile stimolo


A pensarci bene, il decreto Gelmini un pregio l'ha avuto: quello di portare sotto gli occhi di tutti ed evidenziare chiaramente che l'Università e la politica governativa sono due separati in casa. Costretti a condividere la stessa nazione, a subire uno la presenza dell'altro, a far buon viso a cattivo gioco e a saturare l'atmosfera di ipocrisia e falsità alla presenza del popolo (non so se aggiungere anche "sovrano", forse è stato cancellato per decreto?). Per non mancare di rispetto alle tradizioni del nostro Paese, anche l'ultimo governo si è dichiarato pronto ad attuare una seria e profonda riforma del sistema universitario. In che modo? Forse avviando una discussione aperta a tutte le parti? Sentendo studenti, ricercatori, docenti, professori, rettori e quant'altro? Per poi passare la parola alle Camere? Ma no! Troppo tempo! Il governo è particolarmente sensibile al problema dell'Università, sente un incontenibile stimolo che lo porta ad attuare le nuove strategie per lo sviluppo e la ricerca, e comprende che i tempi stringono. Qui ci troviamo in un caso di emergenza, anzi, ci troviamo in un caso "straordinario di necessità e d'urgenza", quindi la Costituzione permette di risolvere questa straordinaria urgenza con l'emanazione di un decreto legge, senza infastidire nessuno.

Alla fine l'incontenibile stimolo è stato soddisfatto. Ma se andiamo a leggere l'articolo 1, si intuisce che forse il caso "straordinario di necessità e d'urgenza" non era lo sviluppo, tantomeno la ricerca o l'Università. La necessità era quella di contenere la spesa pubblica (cosa che, mi pare, non abbia molto a che vedere con la ricerca).

"L'Università è malata!", frase che all'inizio suonava come una condanna definitiva, è ormai divenuta tanto di moda che viene usata dai conduttori televisivi per mandare la pubblicità. Sembra quasi che l'istruzione sia l'unico portatore malato affetto dalla sindrome di Tremonti. "L'Università malata deve essere curata!", evoluzione della prima frase, risuonando del grido disperato di colui che ha inseguito innumerevoli ma vani tentativi, lascia intendere che il risultato dell'incontenibile stimolo sia la cura definitiva. Ora, di norma, quando un paziente gravemente malato non risponde alle cure, vengono interessati diversi medici per cercare insieme una nuova terapia. In questo caso, invece, il Governo incontenibile non discute con le parti dell'eventuale nuova terapia da far seguire all'Università, ma, in piena autonomia, forte della legittimazione elettorale, decide di ridurre gradualmente l'alimentazione al paziente malato, prolungandone l'agonia.

Quindi la soluzione al problema crea un nuovo problema: l'Università morirà. Ma no, perché, incredibilmente, il risultato dell'incontenibile stimolo che ha creato il problema, allo stesso tempo lo risolve! Ma certo, perché se da una parte il governo incontenibile decide di sospendere l'accanimento terapeutico, dall'altra consente alle Università pubbliche di convertirsi in fondazioni private. Ora, mentre l'ente pubblico è soggetto alle scelte democratiche prese dalla collettività in cui esiste, il privato è sottoposto alle deliberazioni interne dei suoi organi. Privatizzare un ente significa sottrarne il controllo alla comunità per affidarlo ai soggetti finanziatori privati.

Alla fine, quindi, se racchiudiamo il tutto in una bella scatola, scopriamo che si otterrà (forse) il contenimento della spesa pubblica pagando il prezzo di rendere privato ciò che dovrebbe essere un bene comune: il SAPERE.

domenica 9 novembre 2008

In difesa dell'istruzione pubblica


Piero Calamandrei è stato un politico italiano della prima metà del 1900, oltreché membro della Costituente (click). L'11 febbraio 1950, tenne un discorso in difesa della scuola pubblica. Generalizzando, in difesa della pubblica istruzione. In realtà, Calamandrei parlava di una scuola nazionale. Evidentemente, il senso di appartenenza comune alla nazione, all’epoca dei fatti, era ancora vivo nel cuore dell'Italia. Dopo gli anni del regime fascista, benché senza una lira nelle tasche - così dice mio nonno -, la gente era felice. Meno coccolata dai comfort, senza dubbio. Però felice. Poi qualcosa deve essere andato storto. Lentamente le coscienze si sono riaddormentate. Ci hanno convinti che vivere bene significhi sognare il suv, sbancare la lotteria, accanirsi nel consumo. Ci hanno convinti che mutualismo sia sinonimo di assistenzialismo. Quando, invece, il mutualismo è una forma di solidarietà sociale, che persino le teorie economiche più promettenti valutano in senso positivo, nonostante lo strapotere dei capitalisti (da cui dipendono, infatti, gli ordini e i disordini mondiali). Ho in mente, per esempio, i princìpi della cooperazione e l'idea di fondo dietro le dinamiche dominanti di John Nash. Il cambiamento? È ancora possibile. Si comincia dal volerlo. Basta ragionarla un po' come fra i moschettieri di Dumas.
Piero Calamandrei - Roma, 11 febbraio 1950

Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito.

Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime... Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi, ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico".

Si direbbe scritto ieri. Invece sono quasi sessant'anni. Se c'è nulla di cui meravigliarsi? Temo di no. Oltreché per la relatività, Albert Einstein è passato alla storia per il suo pensiero critico. «Due cose sono infinite,» gli piaceva dire «l'universo e la stupidità dell'uomo. Ma riguardo all'universo nutro ancora qualche dubbio». Di questi tempi, trovo impossibile non essere d'accordo.

sabato 8 novembre 2008

Assemblea degli stati generali - Giovannini&Co.Co.Pro.


Benché in un tono minore, il fronte della protesta ha raggiunto, finalmente, anche l'ateneo mediterraneo. Le iniziative, nel corso della settimana, non sono state poche. Le riserve, più che sul numero, riguardano, infatti, l'efficacia. Oltreché l'opacità degli atteggiamenti assunti dagli organi istituzionali verso le posizioni del governo della pompa magna - tributo ai meriti di guerra del ministro Autofregna - e le sue scelte a scapito della libera istruzione pubblica - e a favore, di converso, dei privati. Che si tratti delle banche o della gestione dei servizi (acqua, energia, scuola e università, consulenza, ricerca e così via), in definitiva, poco importa. Think globally. Non conosco un modo più serio di guardare ai problemi. Guardare ai problemi e spiegarne le origini. Spiegarne le origini e cercarne una giusta soluzione. Evidentemente, a patto di poterne garantire la ben posizione. Anzi ho idea che non esista, in atto, altra maniera di procedere. A meno che non ci si contenti di curare i sintomi, piuttosto che guarire dalla malattia. Forse bisognerebbe spiegarlo alla Brumetta (ex consigliere economico del primo e secondo governo Craxi), quando viene a sventolare i suoi piani di razionalizzazione degli sprechi dal seggiolino che la Vespa gli ha comperato al mercatino dell'usato (naturalmente, con i soldi pubblici), perché le sue nano-dimensioni non gli procurassero troppo disagio di fronte alle telecamere. D'altronde, non sarei meravigliato se domani si scoprisse che i tornelli - di cui si sono impreziosite le amministrazioni pubbliche - fossero forniti da una S.p.A., che include nel novero dei suoi azionisti principali gli amici di inciuci Tagljola e Dalai Lema. Forse, però, sto divangando. Provo, perciò, a rientrare in topic.

Mercoledì scorso (5 novembre 2008), dentro l'aula di ateneo dell'UniRc, si è svolta l'assemblea degli stati generali indetta da monsignorGiovannini, da qualche tempo divenuto rettore (seppure ancora in pochi se ne siano accorti). Impeccabile nella dizione e disinvolto nell'uso degli endecasillabi bisdruccioli, si è presentato con un'ora abbondante di ritardo sui tempi stabiliti (v. qui, in basso). Ma è di pubblico dominio che le very important people si lasciano attendere tutto il tempo necessario, e questo è un principio di natura che dovremmo tutti imparare a rispettare - invece che brontolare lamentele. E poi pare che il gran fico abbia avuto seri problemi col bidet. Certo è stato comico vedere il corpo docente costretto, dalle peculiari circostanze, a sedere con il culo per le scale: alcuni davano l'aria indispettita di quei grassi trichechi stravaccati che non tollerano l'idea di dover dividere, da pari a pari, il ghiaccio circostante con le foche. Il punto è che gli studenti hanno risposto alla chiamata in grande numero. Contro ogni previsione. Cioè a dispetto dell'eufemistica pigrizia dei loro rappresentanti, che ancora, il lunedì precedente, discutevano, per i corridoi della facoltà di ingegneria, dell'opportunità e dei modi di far circolare la notizia dell'adunanza del mercoledì fra gli elettori - peraltro disinformati di tutto quel che accade sotto la cupola dell'ateneo. I professori sono arrivati a passo di tip tap, le professoresse sui loro trampoli da guerra poco prima dell'ingresso in aula del nostro kaiser maximus. A conti fatti, gli uni e le altre se la sono presa, però, con troppo comodo, se è vero come è vero che, al loro arrivo, tutte le poltrone erano state già occupate. Poco meno di trecentocinquanta posti a sedere. Una cifra significativamente minore dei numeri svanverati da qualcuno. Il merito di una partecipazione così massiccia, di fatto, si deve al passaparola. Nonché all'idea brillante dei cosiddetti collettivi UniRc di appendere qualche volantino ai distributori del caffè - come spesso accade, le buone idee provengono dal basso. Detto questo, bando alle ciance: è tempo di critica.

Le parole di Giovannini? Rettoriche e fronzolanti. L'intervento del direttore amministrativo di ateneo Antonio Romeo? Numerologico. Tanto che, sciolta la seduta, sono corso alla prima tabaccheria di san Brunello per giocarmi la fortuna a un terno al lotto. Il panegirico del prorettore Vincenzo Tamburino (a favore della riconversione degli atenei in fondazioni di diritto privato)? Abbacinante - e non per via di tanto lustro. D'altro canto, ho trovato sinceri e appassionati i toni di Giuseppe Toscano (rappresentante sindacale del personale tecnico-amministrativo di ateneo): mi sarebbe piaciuto pubblicare il suo discorso sul blog, ma purtroppo non ho pensato di tirarmi dietro un registratore vocale. Viceversa, riporto la ricostruzione a posteriori delle argomentazioni del prof. Tommaso Isernia (ordinario di Campi elettromagnetici presso la facoltà di ingegneria dell'UniRc):

Presentazione. Come Presidente del Corso di Laurea in Ingegneria dell'informazione confermo, a valle di quanto già detto dal Rettore, che la combinazione dei requisiti necessari richiesti dall'ordinamento 270 (ndr: il decreto 22 ottobre 2004, n. 270 del ministero dell'università e della ricerca) e la restrizione di risorse (ndr: conseguente alla legge 6 agosto 2008, n. 133) creeranno considerevoli problemi ad alcuni CdL. Come tantissimi nell'Università, non sono certo un barone né un figlio di baroni, ma di insegnanti elementari, che hanno potuto accedere all'Università solo grazie al '68. In un certo senso, infatti, il mio intervento è un obbligo di riconoscenza verso quanti, con l'impegno sociale e l'esempio in prima persona, si hanno testimoniato l'importanza di una libera formazione superiore e la possibilità di accedervi senza vincoli di provenienza.

Aspetti nazionali.
Non c'è dubbio che, per i motivi già riportati da chi mi ha preceduto, bisogna fare la propria parte, assieme agli altri Atenei, per combattere i tagli previsti, la legge sul turn-over e la ventilata trasformazione delle Università pubbliche in fondazioni di diritto privato. Quest'ultimo aspetto della norma, in particolare, prevede un tipo di fondazione diversa da quella discussa in Ateneo anni orsono, e non è condivisibile, per come è concepita: andrebbe a rimpiazzare l'Università pubblica tout court, anziché occuparsi di aspetti parziali.

Aspetti locali.
Il nostro impegno e la nostra protesta verso il governo nazionale non deve farci dimenticare gli aspetti e le eventuali responsabilità locali, sulle quali potremmo, peraltro, avere una capacità di incidenza maggiore. Da questo punto di vista, a valle degli incontri sulla programmazione strategica in Ateneo, è senz'altro il caso di dare seguito a forme di razionalizzazione e di valorizzazione del merito. C'è, infatti, un aspetto assai rilevante, che fin qui mi sembra sia stato ampiamente trascurato: ammesso, infatti, che l'Università sia importante per il territorio - e lo è senz'altro nel nostro caso -, anche gli Enti locali devono fare la loro parte. La concessione di contributi consolidati agli Atenei da parte di questi ultimi potrebbe rendere possibile l'assunzione di Ricercatori senza sforare i limiti di legge, e contrastando così il depauperamento di risorse e di intelligenze che si profila all'orizzonte. Seppure questi fondi fossero per un tempo limitato, ci sarebbe comunque la possibilità di assumere ricercatori a tempo determinato, che contribuirebbero al soddisfacimento dei requisiti necessari secondo il nuovo ordinamento 270. Per cui è tempo che i contributi degli enti locali, da occasionali e sparsi (erogati, talvolta, sull'onda di esigenze temporanee di spesa), diventino consolidati, cioè elemento di stabile rafforzamento dell'istruzione superiore e della ricerca nell'ambito del territorio locale.

«Un intervento di ferma critica propositiva», ho commentato. «Netto, incisivo, senza orpelli.» Giudizio, peraltro, ampiamente condiviso dalla platea. Notevole, del pari, l'invettiva dell'arch. Rosario Giuffrè. Un po' sconsolante, invece, la lettura del documento abortito dal consiglio degli studenti per bocca di un giovanissimo rappresentante, scapicollato - suo malgrado? - sul palco degli oratori a salmodiare una cantilena deprimente, che ha suscitato l'incontinenza di metà dell'uditorio - l'altra metà si era assopita dopo il primo capoverso. La più grande rivelazione della giornata, ad ogni modo, è stata la prof.ssa Luisa Fattorusso: l'ho ascoltata dipanare i suoi ragionamenti per oltre due minuti, senza mai perdere il filo! Una roba da guinness dei primati. Ho provato a contattare gli altri relatori, sperando mi forniscano uno stralcio dei loro interventi, così da poterli pubblicare. Aggiornerò, di conseguenza, il post, nel caso dovessero rispondere positivamente alla richiesta. Nel frattempo, sarebbe utile raccogliere le impressioni degli altri presenti.


Aggiornamento di venerdì 14 novembre 2008

Ho appena ricevuto per e-mail il testo autografo del discorso pronunciato, in occasione dell'assemblea, da Pasquale Speranza (membro del consiglio di amministrazione dell'ateneo reggino). Lo riporto di seguito nella sua forma integrale.


Cari studenti, colleghi e corpo docente,

siamo qui per discutere non di una nuova riforma per l'Università ma per motivare la nostra ferma e convinta opposizione ad una legge finanziaria che mira a recuperare risorse colpendo un settore, quello della conoscenza, che dovrebbe essere l'ambito strategico dove impegnare nuove risorse in una situazione di crisi mondiale. Sarebbe stato utile non solo non tagliare le risorse attuali ma impegnarne di nuove come ha fatto, intelligentemente, il Presidente francese.
Il problema è capire che, per il nostro governo, l'Università Pubblica non è una priorità. Il piano dei tagli per un miliardo e mezzo di euro viene ammantato con le dicerie che si vogliono colpire le baronie universitarie.
Quello che si realizza, nella pratica, è l’impossibilità concreta che si possa realizzare un cambiamento generazionale dentro il Sistema Universitario e soprattutto che si impedisca l’inserimento nell’Università di schiere di giovani dottorandi, ricercatori precari, assegnasti, borsisti, collaboratori atipici e personale precario.
L’altro aspetto, preoccupante, viene dal fatto che, mancando il turn-over, si dovranno chiudere corsi di laurea, facoltà o intere Università. Il Politecnico di Milano ha dichiarato che, qualora dovesse permanere l’attuale situazione, rischia la chiusura. Penso che sia importante, oggi, avere un’idea forte di quello che significa poter contare su un’Università Pubblica. Credo, sinceramente, che l’Università, in Italia, abbia rappresentato un’istanza di civilizzazione e grande è stato il merito nell’aver dato a intere generazioni di figli di lavoratori la possibilità di formarsi come liberi professionisti o cittadini consapevoli.
Oggi, con una politica classista, si vorrebbero ricacciare indietro le nuove generazioni. Immagino che sia importante che le nuove generazioni capiscano che il miraggio delle Fondazioni Universitarie porterebbe alla negazione del diritto costitutivo all’alta formazione.
La cultura liberistica sostiene che bisogna distruggere l’Università Pubblica dando spazio al libero mercato. Non dicono che uno studente americano paga di solo tasse circa 50.000 dollari all’anno e che pochi si possono iscrivere all’Università. Questi ben pensanti ritengono che si debba avere un sistema universitario che non sia un patrimonio di diritti ma solo l’espressione di liberalità di qualche filantropo di turno.
Nella mia qualità di componente il C.d.A. d’ateneo, ritengo che gli studenti ed il personale universitario abbiano capito che siamo dentro un attacco totale alla stessa possibilità d’esistenza della nostra Università.
Non mi sento di sostenere quelle personalità d’ateneo che sottovalutano il pericolo che viene dalla trasformazione dell’università Pubblica in Fondazione. E non condivido neanche il loro superficialismo quando sostengono, pubblicamente, che la Fondazione si connoterebbe sono per il fatto che il Magnifico Rettore trasformerebbe il suo nome in Presidente. Ritengo che questi pressappochismi sono degli atteggiamenti che indeboliscono la possibilità che l’Università abbia un futuro dignitoso.
Infine, sono convinto, che se manteniamo un’idea forte di Università come bene comune collettivo, e ci crediamo veramente possiamo farcela.
Il nostro motto dovrebbe essere: “No, they can’t. Yes, we can.

martedì 4 novembre 2008

Il fondo di garanzia per le vittime della strada - Parte I

... provate a rilassarvi e immaginare. Un autobus a due piani vi travolge per la strada, mentre attraversate le strisce pedonali. State al gioco, è divertente! Probabilmente perché siete voi ad immaginare.

Immaginate di sopravvivere all'incidente. Avete solo un'anca rotta; fratture al carpo, al metacarpo, alle falangi; lesioni irreversibili alla colonna vertebrale; sette costole incrinate; il cranio sfondato e un numero non meglio precisato di cateteri, che vi drenano un fetore liquido da tutto il corpo. I medici e i parenti stretti attorno al vostro letto di ricovero vi ripetono come siete fortunati. Voi vorreste rispondergli di andarsene a fanculo, ma in qualche modo - un istante prima dell'impatto - i vostri denti si sono serrati sulla lingua. Quando è arrivata l'ambulanza, l'hanno trovata srotolata sull'asfalto. «Somigliava ad una cotoletta esangue», vi hanno detto. Saperlo vi ha fatto assai piacere. I denti, almeno, li avete ingoiati. Tutti. Inclusi i molari. Dopo che li avrete cacati, assicurano che ve li rimetteranno a posto con il mastice e il vostro sorriso tornerà splendente come nuovo. Immaginate di crederci.

Immaginate, quindi, di essere degli inguaribili ottimisti - anche un po' scemi. Per qualcuno non sarà troppo difficile. «In fondo,» vi dite «non tutto il mal viene per nuocere»: l'assicurazione vi coprirà di soldi e, se non altro, piangerete con un occhio solo - di fatto, l'unico che vi sia rimasto in orbita. E immaginate che ad un tratto, nella stanza, a rendervi una visita, arrivino niente meno che la Berlusca e la Brunetta con due fasci di tornelli. Vengono a portarvi la buona novella: l'autobus che vi ha ridotti in fin di vita è di proprietà di una società di autolinee in fallimento.

Immaginate di sentirvi beffati, però datevi animo: shit happens. D'altronde, il danno era già quasi evidente. Vi hanno imbrogliato, non c'è altra spiegazione. Siete incazzati neri. Soltanto che nessuno se ne accorge. Forse perché la vostra pelle è rivestita di pustole e di echimosi dalla punta della testa fino ai piedi. Una suora vi sorride dalla porta. Le ricambiate il garbo, augurandole di cadere dalle scale. La mala sorte vi perseguita. Voi, però, vi riscoprite positivi e benedetti dal Signore. Tanto da meditare il progetto di un suicidio. Poiché, però, non vi riesce di levare neanche un dito, rinunciate dopo il primo tentativo e soffocate dolore e dispiaceri negli aromi alcolici delle vostre lumere invereconde.

I
mmaginate, infine, il miracolo. La tv si accende sulla terza rete Rai. C'è in onda Report. La Gabanelli ne ha scoperchiata un'altra. Temendo che ce l'abbia su con loro, la Berlusca e la Brunetta si dileguano. I suoni vi arrivano annacquati - dev'essere per via della morfina che vi circola nel sangue. Ciò nonostante, riuscite ad isolare una sequenza di parole: fondo di garanzia per le vittime della strada. Il vento ha cambiato direzione. Forse avete ancora una carta da giocare. Forse ...

Il fondo di garanzia per le vittime della strada (nel seguito, FGV) è stato istituito con la legge n. 990 del 1969 ed è gestito, oggi, dalla Consap S.p.A., sotto il controllo del ministero delle Attività produttive, con la collaborazione di un comitato, presieduto dal presidente della società e composto da rappresentanti del ministero dell'Economia, della Consap, delle imprese di assicurazione e - oltreché dello stesso ministero delle Attività produttive. Qualcun altro no? Ai sensi dell'art. 283 del decreto n. 209 del 7 settembre 2005, intregato e modificato dal decreto n.198 del 6 novembre 2007, il fondo provvede al risarcimento dei sinistri scoperti

  • causati da veicoli o natanti (ndr: imbarcazioni da diporto, moto d'acqua, sommergibili, torpediniere, portaerei, ...) non identificati (ndr: per es., vi investono la macchina al parcheggio, ma non avete idea di chi sia stato o di come sia successo), per danni alla persona o alle cose (con una franchigia di 500,00 euro nel secondo caso), ma solo a fronte del riscontro di danni gravi riportati dalla persona (ndr: in pratica, se un'elica non vi trancia di netto una gamba o un avambraccio, allora è inutile che presentiate la domanda);
  • causati da veicoli o natanti non assicurati, per danni alla persona o alle cose (questi ultimi, in particolare, vi verranno risarciti integralmente);
  • causati da veicoli o natanti assicurati con imprese poste in liquidazione coatta amministrativa, sia per i danni alla persona che per i danni alle cose;
  • causati da veicoli posti in circolazione contro la volontà del proprietario (per esempio, perché rubati);
  • causati da veicoli spediti in territorio italiano da un altro stato dello spazio economico europeo (che include tutti i paesi membri dell'Unione Europea, oltreché l'Islanda, la Norvegia e il principato del Lichtenstein) e avvenuti nel periodo che intercorre fra la data di accettazione della consegna del veicolo e lo scadenza del termine di 30 giorni (v. art. 283, comma 1, lettera d-bis del decreto n.198 del 6 novembre 2007), per danni la persona o le cose;
  • causati da veicoli esteri con targa non corrispondente o non più corrispondente allo stesso veicolo (art. 283, comma 1, lettera d-ter del decreto n.198 del 6 novembre 2007), per danni contro la persona o le cose.
L'intervento del fondo, nei casi menzionati, è limitato al massimale di legge vigente al momento del sinistro, pari a 774.685,35 euro per gli incidenti accaduti in tempi successivi all'1 maggio 1993, o altrimenti specificato dalle apposite tabelle fornite dalla Consap (click). Ex lege, l'istruttoria e la liquidazione sono di competenza esclusiva dell'impresa assicurativa designata - individuata sulla base delle competenze territoriali in relazione al luogo di accadimento del sinistro, cui va, di fatto, sottomessa "la richiesta di risarcimento dei danni per l'apetura della pratica e avverso cui dev'essere esercitata ogni eventuale azione giudiziaria, in caso [...]" che l'assicurazione si rifiuti di pagare. La definizione delle imprese territorialmente competenti è valida per un triennio e avviene tramite provvedimento dell'ISVAP. L'ultimo attualmente in vigore è il provvedimento n. 2496 del 28 dicembre 2006 (click). Ad oggi, per la Calabria, l'istituto assicurativo di riferimento è l'INA Assitalia S.p.A., la cui sede sociale è stabilita in corso d'Italia 33 - 00198 Roma.